Nuovi modelli di assistenza e cura

Ora è possibile consultare il rapporto della seconda edizione dell’Osservatorio permanente sulla Silver Economy di CNA Pensionati

Nuovi modelli di assistenza e cura

È pubblico il rapporto della seconda edizione dell’Osservatorio permanente sulla Silver Economy di CNA Pensionati

La seconda edizione dell’Osservatorio si è focalizzata sui nuovi modelli di sanità e assistenza.

Il rapporto si basa su un’indagine che si è svolta nello scorso autunno mediante utilizzo di piattaforma telematica ed il supporto della rete territoriale dell’associazione. Complessivamente le interviste valide sono state 3.588 (il 20% in più della precedente edizione), equamente distribuite tra uomini (51,7%) e donne (48,3%).

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Condizioni di salute: 
stare bene, prevenzione e cura delle cronicità
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Sezione 1

Poco più di un terzo dei rispondenti dichiara che personalmente tutti i componenti della famiglia sono in buona salute (35%). In questo caso la media nazionale è poco significativa date le grandi differenze, in quanto il dato è di poco inferiore alla metà nelle regioni del Nord (45,7%), in media nelle regioni del Centro (36,4%) e decisamente inferiore nelle regioni meridionali (16,2%). Si tratta di un dato coerente con numerose ricerche che evidenziano un’elevata differenza della durata di vita in buona salute, significativamente più alta nelle regioni del Nord rispetto a quelle del Centro e soprattutto del Sud (si veda Rapporto OASI 2023).

Si hanno significative differenze anche per quanto riguarda la presenza di una o più cronicità propria o del proprio coniuge. A livello nazionale, il 27,5% dichiara di avere due o più cronicità, il 25,4% una sola, il 6,1% dichiara che il coniuge o la persona convivente presenta cronicità. Soprattutto, si evidenziano marcate differenze per quanto riguarda la presenza di due o più cronicità, rispettivamente 21,5% nelle regioni del Nord, 25,4% nelle regioni centrali ed addirittura il 40,5% nelle regioni del Sud.

Infine, per verificare l’affermazione secondo cui “è meglio prevenire che curare” sono state formulate due domande su comportamenti e stili di vita che possono aiutare a mantenere un buono stato di salute. Per quanto riguarda l’attività fisica dichiara di svolgerla a livello nazionale il 54,4% (anche se solo il 33,3% la svolge costantemente), mentre il 43,8% dichiara di non svolgerla.

Con riferimento alla prevenzione secondaria, ossia svolgimento di screening, poco meno di un terzo li svolge quando consigliati dal proprio medico (30,8%) o programmati per monitoraggio a seguito di patologie (29,7%), mentre circa un quarto dimostra un’elevata sensibilità perché li svolge periodicamente per propria iniziativa (26,5%). Gli screening previsti da programmi regionali o dell’ASL sono svolti solo dal 5,9% dei rispondenti a livello nazionale, mentre bassa è la percentuale di chi li svolge a seguito di campagne di sensibilizzazione (1%). Il 3,8% dei rispondenti non ha svolto esami di routine e screening negli ultimi tre anni.

Più sensibili ai suggerimenti del medico sono i rispondenti delle regioni del Sud (36,5%), rispetto alle regioni del Centro (33%) e le regioni del Nord (24,2%).

Bisogni di tutela della salute:
qualità della vita e preferenza per la domiciliarità degli interventi
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Sezione 2

Nell’indagine si è posta l’attenzione soprattutto sui bisogni più rilevanti per una popolazione anziana, quella dell’assistenza domiciliare per la quale esiste una criticità generale in tutto il Paese. D’altra parte, uno degli obiettivi della missione 6 del PNRR è quello di arrivare a garantire l’assistenza domiciliare per il 10% degli over 65.

A tal proposito, l’84,2% del campione riferisce di non necessitare di un’assistenza domiciliare di tipo sanitario a livello nazionale; sembrano più autonomi i rispondenti delle regioni del Nord in quanto il 90% dichiara di non averne bisogno, rispetto all’86,8% delle regioni del Centro e il 70,7% delle regioni del Sud. Il 6,5% dichiara di usufruirne per 2 ore la settimana. Coerente con molte analisi che segnalano la debolezza del sistema di assistenza domiciliare a livello nazionale, è molto bassa la quota di coloro che ne usufruiscono per meno di un’ora in media al giorno (2,4%) e coloro che ne usufruiscono per oltre 5 ore alla settimana (2,3%).

Tra coloro che hanno fatto ricorso all’assistenza domiciliare, il 3,8% si è rivolto a OSS, l’1,8% a MMG e l’1,7% a fisioterapisti. Nelle regioni del Sud è più elevata la quota dei rispondenti che ricorrono agli OSS (10,5% rispetto al 2.4% delle regioni del Centro e 1,1% delle regioni del Nord), così come coloro che ricorrono alle prestazioni del MMG (3,6% rispetto al 1,5% delle regioni del Centro e 1% delle regioni del Nord) ed a quelle di fisioterapisti (3,9% rispetto al 1,3% delle regioni del Centro e 0,8% delle regioni del Nord).

È preoccupante il dato per cui un rispondente su dieci a livello nazionale non ha potuto ricorrere all’assistenza di badanti o colf pur avendone bisogno (9,1%, pari a circa 330 persone) e di chi ne ha potuto usufruire solo per 2 o 3 mezze giornate alla settimana (8,2% pari a circa 290 persone).

Assistenza sul territorio:
rischio di “una scatola vuota
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Sezione 3

Nonostante vi sia un ampio dibattito – anche nei media – sul potenziamento dell’assistenza extraospedaliera o territoriale e per le persone con cronicità, l’indagine evidenzia che due terzi dei rispondenti non ha sentito parlare delle Case di Comunità o, se ne ha sentito parlare, non ha per nulla chiaro quali servizi esse possono dare.             Va sottolineato che l’informazione dovrebbe circolare a livello locale, dato che è previsto uno standard di una casa di comunità hub ogni 50.000 abitanti e case di comunità decentrate in comuni con 10.000 – 20.000 abitanti.

Poiché il potenziamento dell’assistenza territoriale prevede anche la presenza degli MMG (e dei PLS) è stato utile comprendere anche tale aspetto. L’alta percentuale di chi risponde di non conoscere se il proprio MMG è presente nelle CdC (78% a livello nazionale, 79,6% nelle regioni del Nord e del Centro e 72,5% nelle regioni del Sud) è un indicatore del fatto che questi professionisti per ora sono poco interessati a modificare i propri rapporti con i pazienti.

La maggioranza dei rispondenti a livello nazionale dichiara di conoscere la struttura sanitaria più vicina alla propria abitazione (54,8%), mentre più di un terzo (38,9%) dichiara di non esserne a conoscenza. E sempre dalle risposte, si evince una maggiore capillarità delle strutture nelle regioni del Nord e del Centro perché esse sono raggiungibili in meno di 15 minuti (rispettivamente il 12,6% e il 13,2%).

Ricorso al privato:
complementare, ma non sostitutivo rispetto alla centralità del pubblico
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Sezione 4

Poco meno di un terzo dei rispondenti dichiara di non aver fatto ricorso a visite private (28,1%), con il minimo nelle regioni del Sud (24,7%), il massimo nelle regioni del Centro (31,4%), passando per le regioni del Nord (26,1%). Tra chi ha fatto ricorso a visite private, la maggior parte ha sostenuto una spesa inferiore a 1.000 euro, il 48,9% a livello nazionale, 43,2% nelle regioni del Sud, il 49,4% nelle regioni del Centro ed il 52,2% nelle regioni del Nord. È naturale la correlazione inversa tra livello di spesa e la percentuale che vi ha fatto ricorso, poiché a livello nazionale il 13,9% ha sostenuto una spesa tra 1.000 e 3.000 euro, il 3,5% tra 3.000 e 5.000 euro, l’1,2% tra 5.000 e 10.000 euro e lo 0,3% oltre i 10.000 euro.

La percentuale più elevata di coloro che hanno sostenuto una spesa elevata riguarda i rispondenti del Sud. Si tratta di dati preoccupanti che, da un lato sono correlabili alla debolezza (reale o percepita) delle strutture di offerta pubbliche o accreditate, e dall’altro esprimono le disuguaglianze in quanto la spesa maggiore ricade sulla popolazione a più basso reddito.

Infine, se è vero che la logica del risparmio è quella di far fronte a esigenze future, è altrettanto evidente che vi è una discriminazione tra persone con basso reddito o basso risparmio accumulato rispetto a persone che si trovano in migliori condizioni economiche. Va segnalato anche il fatto che coloro che non hanno provveduto a stipulare fondi o assicurazioni per la salute negli anni lavorativi non hanno accesso a fondi e assicurazioni quando entrano nell’età della pensione, in cui aumentano i bisogni di salute.