Quasi un quintale e mezzo, per la precisione 146 chili di cibo, gettati ogni anno nella spazzatura. A tanto ammonta lo spreco medio pro-capite degli italiani, a fronte dei 127 chilogrammi della media europea. Una pratica deplorevole sotto tutti i punti di vista; oltre a rappresentare un dispendio di risorse alimentari ed energetiche, è anche un problema etico, se si considera che nel mondo ci sono milioni di persone che non hanno da mangiare. A fotografare la situazione è l’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, secondo il quale a generare gli sprechi sono le famiglie per il 55%, mentre il restante 45% è rappresentato dai rifiuti prodotti dalla filiera alimentare nel corso delle varie lavorazioni. I ristoranti sprecano meno, solo 12 chili all’anno a persona, forse per una politica più accorta degli acquisti e una gestione più attenta delle scorte.
Numeri, questi che davvero gridano vendetta vista la situazione di difficoltà economica o di indigenza in cui versano oltre 5 milioni di italiani, in base all’ultimo Rapporto Caritas. A finire nella pattumiera non è solo il cibo avanzato, ma anche l’energia che è servita per produrre e trasportare le materie prime, e quella necessaria per la loro trasformazione. Dal grano al panino, insomma. Secondo il World FoodWaste Report nel 2022 abbiamo gettato nella spazzatura energia per 6,4 miliardi. L’anno scorso i miliardi erano “solo” 4.
«La lotta allo spreco alimentare dei consumatori – spiega Eurostat – rimane una sfida sia nell’Ue che a livello mondiale. Lo spreco alimentare domestico rappresenta quasi il doppio degli sprechi alimentari derivanti dai settori della produzione primaria e della fabbricazione di prodotti alimentari e bevande (14 kg e 23 kg per abitante; 11% e 18%, rispettivamente), settori in cui esistono strategie per ridurre rifiuti alimentari, ad esempio con l’uso di parti di scarto come sottoprodotti”. Chissà, forse una mano (anche all’ambiente, visto che produrre e gettare cibo provoca anche l’emissione di gas serra), potrebbe paradossalmente arrivare dal rincaro dei prezzi e dall’inflazione che sta già comportando la contrazione degli acquisti. Decisamente è una magra consolazione.