È il 20 maggio 1956; è un pomeriggio come tanti, e in una casa della campagna russa Sergio D’Angelo, giornalista italiano che lavora per Radio Mosca, riceve un pacco di fogli dattiloscritti. A consegnarglieli è il suo amico Boris Pasternak; “Questo è il Dottor Zivago – gli dice – che faccia il giro del mondo”. E poi: “Fin d’ora siete tutti invitati alla mia fucilazione”. Oggi Sergio vive a Roma, e ha compiuto 100 anni lo scorso 30 ottobre. Sa bene, accettando quei fogli censurati dal Pcus – perché il partito vi ha letto una critica al regime – dei rischi ai quali espone sé stesso e la sua famiglia, ma non ci pensa due volte. A novembre dello stesso anno Sergio riesce a farli uscire di nascosto dall’Unione sovietica, e l’anno dopo l’editore Giangiacomo Feltrinelli li pubblica nonostante i tentativi di dissuasione dell’autore. Pasternak, schiacciato dalle pressioni dell’apparato burocratico sovietico, teme ripercussioni durissime. Tant’è: dopo la pubblicazione Pasternak viene buttato fuori senza tanti complimenti dall’Unione degli scrittori russi, e per lui inizia il calvario della povertà e dell’isolamento. Persino Feltrinelli, dopo aver pubblicato il libro che getta molte ombre sulla Rivoluzione d’ottobre viene espulso dal Pci, ma il romanzo si rivela ben presto un successo internazionale. Pasternak viene insignito del Premio Nobel per la letteratura, ma non potrà ritirare il riconoscimento. Morirà nel 1960, e sarà il figlio Evgenij a ritirare il premio per il padre, soltanto nel 1989.

Pasternak non farà in tempo neanche a vedere il meraviglioso film, girato con la regia di David Lean nel 1965, con Omar Sharif e Julie Christie. E se Sergio D’Angelo non avesse accettato di correre il grandissimo rischio di portare quei fogli con sé, fuori dall’Urss, forse oggi di quel romanzo non sarebbe restata alcuna traccia. Grazie Sergio, per il tuo coraggio. E tantissimi auguri di buon compleanno.